GIORGIO RUMIGNANI, LA TRILOGIA

C’è una storia di cui i friulani vanno orgogliosi, la storia che li mette di fronte a difficoltà ripetute. È il caso del Duomo di Gemona del Friuli perfettamente ricostruito dopo il devastante e triplice sisma del 1976, ed inaugurato quasi vent’anni dopo da Papa Giovanni Paolo II. Il duomo e la sua ricostruzione possono dar prova della tenacia di questo popolo che riparte e ricostruisce.

Giorgio Rumignani guarda caso, nasce a Gemona il 6 dicembre del 1939 e rispecchia fedelmente la forza di quella terra e di chi la calpesta. Tra pianure e montagne, percorsi ripidi e vento ci si forgia costruendosi addosso la forza di attraversare tutto ciò che di difficoltoso esista: anche nel pallone. Dove fosse durante i sismi Mister Giorgio non si sa, ma di sicuro si barcamenava nelle sue prime esperienze da allenatore tra Messina e Varese dopo aver chiuso la carriera nel Savona da capitano con un certo Marcello Lippi.

Si costruisce sul campo la fama di traghettatore, infatti quasi tutte le sue esperienze durano una stagione o poco meno in una carriera durata quasi quarant’anni. Le sue squadre sono aspre e combattive. Lui è come un Leonida a capo di spartani spacciati sulla carta ma insegna loro che solo sul prato verde si decide tutto.

Nella stagione 1992-1993 la famiglia Fuzio lo sceglie, l’anno dopo la sbornia della prima promozione in Serie B con Mario Russo, come sostituto del tecnico salentino scomparso di recente, per traghettare i federiciani alla salvezza, un storica salvezza. Rumignani era già un tecnico forgiato dalle difficoltà e dalle pressioni ambientali tipiche del calcio meridionale. Conosceva già la nostra terra, più vista mare a dire il vero, visto che aveva vissuto negli anni prima il miracolo della salvezza con il Barletta in un ambiente ostile a lui senza apparenti motivi. Cronaca narra che, a salvezza acquisita, ai pochi che lo hanno sostenuto regala una medaglietta d’ oro a forma di stadio di calcio, invece agli undici dirigenti della società altrettanti piccoli coltelli che giustificherà con una simpatica metafora: “Dopo aver preso tante coltellate da loro durante il campionato, le ho restituite”. Avete capito di che personaggio stiamo parlando.

Si siede sulla panca della Fidelis, alla nona giornata – l’ottava la diresse il preparatore Stefano Boggia – contro il Padova e si alza all’ultima giornata sventolando la sua giacca come un Canà qualsiasi a salvezza ottenuta in casa contro la Reggiana con un goal di Vittorio Insanguine. In mezzo ci passa un campionato incredibile: dalla prima storica vittoria in Serie B contro il Taranto, alla corsa di Petrachi al “Via del Mare”, sino alla tripletta di Coppola contro il Venezia. Molti pareggi, poche vittorie così come le sconfitte e nell’era dei “due punti” ci si poteva salvare “alla Rumignani”.

Ad Andria Giorgio ci ritorna nel 1998, sempre in B, dove non riesce a raggiungere la salvezza proprio all’ultima giornata contro la Ternana di Borgobello nonostante un finale di stagione pazzesco grazie ai goal di capitan Tudisco e Florijancic. Quella partita al Liberati Giorgio non la vide perché raggiunto da una monetina alla testa nel pre-partita. Fu l’ultima gara della storia disputata in serie cadetta per la Fidelis. Nel mezzo della stagione, anche qui, pezzi di storia del calcio andriese: la vittoria allo scadere contro il Napoli e la spalata di neve a fine gennaio all’allora Comunale con tifosi e calciatori intenti a liberare il campo per disputare la gara importante contro un Ravenna a cui mancavano ben sette titolari poi vinta per 3-2. Quella partita si doveva giocare ed anche da una radio locale “Antenna Adriatica Sport” invitava il popolo andriese a liberare il prato verde dalla neve e come lo stesso Rumignani che invitò, per usare un eufemismo, i calciatori a spalare ghiaccio per dar prova di esser degni della città. Che tempi, che uomini. Il giorno dopo la gara la Rosea definì Rumignani “il dio del sole che scioglie la neve, che dà un cuor di leone all’Andria, che illumina con le sue mosse tattiche una partita incredibile”.

Arrivano gli anni duemila, e nella stagione 2004-2005 completa la trilogia sulla panca Federiciana ottenendo un salvezza senza speranza con una crisi societaria senza precedenti, ma con un gruppo fantastico guidato dal capitano Langella. Ma servì a poco perché fu l’ultima stagione dei Fuzio conclusasi con il fallimento della società targata 1971.

Queste parole vogliono, si spera, far comprendere quanto Giorgio Rumignani pesi nella storia della Fidelis Andria. Di quanto l’abbia marchiata a fuoco con vicende di un calcio che non esiste più, perché è banalmente solo diverso, e di uomini che affrontano la tempesta.

Rumignani, come le salite e le discese della terra dove è nato, fa parte della gioia e dei dolori pallonari che il calcio ad Andria ha manifestato e prodotto. Storie di vittorie memorabili e di sconfitte dolorosissime.

È così dentro la nostra storia Giorgio, tanto da essere ancora oggi invocato da tutti quando la guida tecnica vacilla, quando la squadra è molle e non lotta. Allora tutti, grandi e piccini, esclamano: “Ci vuole proprio Rumignani!”.

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