MIRKO BORTOLETTI, LUCI DA SAN SIRO

In uno dei brani più belli e più emozionanti di Roberto Vecchioni, cantautore milanese, l’autore chiede alla sua Milano di riprendersi soldi e fama per ridargli la sua gioventù ed il suo primo amore. Come se Milano, e San Siro quartiere periferico e disomogeneo per architetture e strati sociali, assieme alle sue possibilità di città internazionale ti risucchi senza accorgetene. I sogni te li da e te li leva.

Ma “Luci a San Siro”, fa venire in mente uno dei luoghi più affascinanti e importanti della storia pallonara italiana. Da Meazza che ne presta il nome ed a tutti i campioni, personaggi e storie che hanno calcato quel manto erboso. Quelle luci riconoscibilissime dal di fuori nelle sue torri che sovrastano il quartiere dove ognuno di noi ha sognato, soprattutto se sogni di essere calciatore. Ma se poi ci nasci pure come Mirko Bortoletti il tutto diventa quasi poetico. Nato a San Siro, milanista da bambino con il mito di Andrea Pirlo, ed ecco perché la scelta del numero 21 dietro la sua schiena che quest’anno ha vestito e sta vestendo i colori della nostra Fidelis.

Abbiamo scelto Bortoletti perché potrebbe essere, anzi lo è, il simbolo di questa stagione. Un calciatore scelto nell’apparente fretta estiva che si è dimostrato uno dei più importanti della squadra. Ma un simbolo, perché di altri ragazzi che in questa squadra hanno fatto benissimo ce ne sono tanti. Ma abbiamo scelto lui per qualità, gol e personalità.

Arriva, si accomoda: timido inizialmente, cappellino nero a nascondere la bella faccina di un ventenne che in campo sembra un gigante. Appunto, un gigante con personalità e corsa. Un under che parla tanto in campo, che chiede la palla, che da indicazioni. Fantastico. Ora, non è che abbiamo scoperto noi tutto ciò, ma già chi ne capisce e ne sa più di noi l’anno scorso l’aveva affrontato su altri campi ed in un altro girone. Proprio Mister Potenza alla lettura della distinta della Vis Pesaro quando allenava la Recanatese si chiedeva chi fosse questo ‘98 che giocava a metà campo. Poi le sorti pallonare hanno riunito i due in questa bellissima stagione della Fidelis Andria.

 

Allora Mirko ci racconti come è andata in estate?

“Venivo da una bella esperienza a Pesaro dove nonostante problemi societari sul finire della stagione abbiamo vinto il campionato comunque. Dopo nessuno da lì si è fatto vivo. Poi, davvero tutto molto strano, dovevo andare a Bari ma all’ultimo ho deciso di venire ad Andria, avevo la sensazione di poter essere più importante qui nonostante i miei genitori mi davano del pazzo perché rifiutare Bari non era semplice. Avevo bisogno di spazio, e grazie anche al Mister ho fatto la scelta giusta.”

I genitori si sono ricreduti poi eh!?! Sorride Mirko.

 

Raccontaci, come ti trovi qui ad Andria?

“Sto conoscendo persone belle e brave, tante amicizie che stanno nascendo. Vivo in città e la città la viviamo insieme ad altri compagni di squadra. Ero titubante visto che sono del nord, invece mi sto trovando benissimo al sud perché la gente alla fine ti apre il cuore e ti tratta benissimo. Ad inizio stagione ricordo l’incontro con i tifosi, erano più di duecento, ci dissero di stare tranquilli e giocare tanto al sostegno ci avrebbero pensato loro.”

 

La tua carriera sino a qui?

“Ho iniziato nell’Accademia Inter a 6 anni, poi a Parma. A tredici anni ho fatto uno stage in Toscana e lì mi ha visionato e preso la Pistoiese. In quegli anni ho sfiorato anche Vito di Bari come compagno di squadra che ho rivisto e salutato in questa stagione contro Bitonto e Taranto. Ho davvero un bel ricordo di Vito. Poi la Pistoiese mi ha mandato in prestito al Torino. Esperienza incredibile, oltre a vincere il Torneo di Viareggio da protagonista, la passione che si respira intorno ai colori granata è a dir poco allucinante. Ti fanno sentire l’importanza della maglia e della storia che il Toro – passata anche dalla Fidelis con Egri Erbstein – porta con sé già dalle giovanili. I tifosi ti riconoscono anche se sei un pulcino, sanno il tuo nome, ti incitano e ti aiutano. Peccato non aver giocato nel nuovo Filadelfia che fu inaugurato l’anno dopo che andai via. Tutte queste esperienze mi hanno plasmato, stare da piccolo lontano da casa ti aiuta a formarti come uomo ma è anche importante avere il totale supporto della famiglia. Ti aiuta a fare le scelte migliori e a darti comunque sicurezza. Molti giocatori della mia età possono avere questo limite ed è un peccato perché non ti permette alla fine di fare uscire le tue qualità ed incanalare la tua carriera.”

 

Qual è il tuo ruolo, che zona del campo preferisci? Durante la stagione il tuo ruolo è un po’ cambiato, hai trovato difficoltà?

“L’importante è giocare, io sono un centrocampista comunque. Nella seconda parte della stagione il Mister mi ha messo qualche metro più avanti, all’inizio ho avuto difficoltà secondo me solo per un fatto mentale e di abitudine. Ma sicuramente saper fare più ruoli anche solo a centrocampo può aiutare la mia crescita e le mie possibilità future. Ora sono un po’ in riserva anche perché abbiamo saltato completamente la preparazione. Io comunque gioco ovunque, bisogna essere umili, riconoscere i propri limiti per poi magari superarli. Poi la squadra viene prima di tutto, se in campo non ho più energia e posso danneggiare la squadra lascio il campo a chi può aiutarla invece. Amo i calciatori che si prendono le responsabilità soprattutto dei propri errori.”

 

Chiaro a tutti che nessuno si aspettava un campionato così. Inutile elencare tutti gli alibi che conosciamo. Ma ad un certo punto il calendario presentava tre partite ravvicinate con le prime tre del campionato dove avete raccolto solamente un punto che ha portato poi ad una flessione. Ci racconti quel periodo?

“Un periodo di grandi sfide, eravamo carichi e ci sentivamo bene. Con il Picerno e soprattutto contro il Taranto abbiamo raccolto molto meno di quello che avremmo meritato e che comunque abbiamo costruito. Sono partite andate male come risultato, torni all’allenamento con il morale sotto i tacchi e dici ‘ho fatto un partitone ed ho preso un punto’ come con il Taranto. Brucia ancora tanto. Abbiamo avuto in seguito anche un calo fisico, inevitabile penso, e qualche infortunio. Ma siamo risaliti. Alla fine nessuno ci ha mai messo in seria difficoltà, ma contro il Cerignola all’andata nel primo tempo abbiamo sofferto tanto. Forse mai nessuno in questa stagione ci ha messo così in difficoltà.”

 

A questo punto l’argomento inevitabile è quello dei play-off. All’epoca della chiacchierata con Mirko si era reduci dalla vittoria di Nola e l’obiettivo era dipeso non solo dai ragazzi di Potenza ma anche dagli avversari. Ora le cose non sono poi tanto cambiate se non nelle possibilità concrete in più di conquistare il pass per la post-season. Partita fondamentale, soprattutto dal punto di vista mentale, da vendetta sportiva era quella contro il Gravina… “A Gravina abbiamo fatto la partita più brutta, così come la sconfitta. Ci ha lasciato uno strascico di rabbia nella nostra mente. Dobbiamo usare questa rabbia per vincerla, perché possiamo perderla solo noi”.

La storia la conoscete e Mirko c’ha messo pure lo zampino, come al solito, vittoria e play-off da giocarseli all’ultima giornata ad Altamura.

 

Raccontaci del Mister e dei compagni di squadra?

Il Mister è una grande bella persona. Il calcio è il suo pensiero fisso, ti martella alla grande. Sa valorizzare tutti i giocatori, farli sentire tutti importanti e non è facile. Ecco perché alla fine sono contentissimo di aver scelto Andria. È stata la decisione giusta. Dei compagni conoscevo solo Petruccellli, sapevo anche che fosse molto forte ed in quest’ultima parte è cresciuto tanto e ci sta dando una grossa mano con la sua qualità. In realtà non ci sono veri leader perché nonostante siamo molto giovani abbiamo la personalità per dire la nostra. Abbiamo avuto per gran parte della stagione un capitano giovanissimo in campo come Ciro Cipolletta. Altro leader è Ivan Bozic che nonostante le difficoltà con la lingua sa farsi sentire, gli viene naturale. La vera sorpresa è Beppe Siclari, grande trascinatore, sa quando incitarti e quando cazziarti. Davvero una sorpresa.

 

Obiettivi personali per il futuro?

“Il sogno di tutti i calciatori è quello di giocare in Serie A, ma il mio obiettivo personale è quello di giocare stabilmente in Serie B. Ovviamente i play-off con la Fidelis”.

 

Ci lasciamo senza promesse, ma semmai con il piacere di rivederci per raccontare assieme altre pagine della storia della Fidelis. Per ora un grazie ed un in bocca lupo a Mirko Bortoletti, in attesa che le luci sulla storia di questa stagione e sulla sua da professionista, come per San Siro, rimangano belle ed illuminanti.

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